Il compito, o la missione, di un fotografo che intenda documentare attraverso le immagini ciò che altri conosceranno mediante i suoi occhi e la sua esperienza vissuta, è di trasferire le emozioni e le testimonianze all’interno del suo apparecchio fotografico, come se non fosse lui il protagonista, ma la sua fotocamera. Per far questo deve immergersi nella realtà che vive in quel momento, dimenticando le proprie esperienze, i propri ritmi, i propri pregiudizi. Non deve giudicare, piuttosto deve sforzarsi di comprendere.

In questo viaggio in Etiopia, come nei precedenti e spero nei futuri, le emozioni che ho provato mi hanno trasportato indietro di millenni, sin quasi a sentirmi immerso nelle origini stesse dell’uomo. Il contatto con le Etnie tribali della Bassa Valle dell’Omo mi ha portato a conoscere la parte più vera ed incontaminata del continente africano. Mi ha portato ad ascoltare il suono della loro voce arcaica, in un idioma sconosciuto e stridulo. Mi ha portato ad ammirare i loro portamenti fieri e dignitosi. Mi ha portato ad adeguarmi ai loro ritmi naturali, legati al sorgere del sole ed al suo tramontare.

Ho ritrovato, mediante il contatto con loro, il legame con quella terra d’Africa che ha dato origine alla nostra stessa civiltà.

La particolare conformazione del territorio etiope, così vario e selvaggio, e la sua originale storia (è l’unico paese africano a non essere stato colonizzato dagli europei, salvo la breve parentesi italiana), hanno preservato le tribù dell’Omo dalle pressioni del mondo esterno.

I Banna, i Mursi, gli Hamer, i Karo, gli Oromo, i Gamo, gli Uraghe, i Wolaita, i Dereshe, gli Tsemay, i Bennà, i Bako, gli Erbore, i Dorze, i Gujule, gli Arsi, vivono nei territori che ho attraversato.