Camminare, per noi uomini evoluti, è una cosa naturale: è un gesto ancestrale che si apprende istintivamente, a volte anche prima di imparare a parlare. Se si ha modo di osservare il cammino degli Sherpa sui sentieri impervi di montagna ci si rende conto dell’armonia dei loro movimenti che si adattano al terreno senza sprecare inutili energie.
Quando si guardano gli Sherpa nelle trafficate e caotiche strade di Kathmandu appaiono esili, minuti, danno l’idea di essere quasi fragili. Ma si trasformano in una razza superiore sui sentieri di montagna, oltre i 4.000 metri di altitudine, dove a loro occorre meno di un giorno per percorrere la strada che una persona sana, robusta ed in ottima salute ne impiega almeno tre. Utilizzano, per bilanciare il peso del “Doko” (la grande cesta che issano sulle spalle con pesi che spesso superano i 70 kg.), una fascia ancorata sulla fronte.
Questo Popolo, proveniente dal Tibet orientale (in fuga dall’invasione dei Mongoli), vive da secoli sui due versanti dell’Himalaya ad est del Nepal, nella regione del Solukhumbu: per questo si sono denominati “Shar pa”, che significa uomini dell’est.
Il loro linguaggio è lo Sherpali, un mix tra il tibetano (che utilizzano nella scrittura) ed altre lingue locali, tra cui anche il nepalese. Nella loro lingua non esiste una parola per chiamare “vetta”: ogni montagna viene chiamata con il nome della Divinità che la abita. L’Everest è Sagarmatha, “la dimora della Dea Madre della Terra”.
Essi hanno una profonda fede nel buddhismo ma alimentano anche credenze che si perdono nella notte dei tempi: secondo loro una infinità di spiriti e demoni dimorano nella Valle del Khumbu e sulle montagne che la circondano e devono essere venerati e placati attraverso antiche pratiche sciamaniche.
Gli Sherpa possiedono un enorme rispetto per la dignità dell’uomo: se qualcuno dovesse infrangere il loro codice morale non viene disprezzato pubblicamente. L’espiazione di tutti i peccati commessi durante l’anno avviene durante la “Nyugne”, una celebrazione concepita come penitenza che è l’unica festa in cui non si beve, non si canta e non si balla. Mentre, durante le altre festività, tutto il loro animo festoso e goliardico viene espresso in modo allegro e vivace. Nella colorata celebrazione del Mani Rimdu (organizzata quattro volte ogni anno), i monaci indossano maschere dai colori sgargianti al fine di spaventare ed allontanare gli spiriti malvagi.
Un’altra cerimonia importante è quella dell’attribuzione del nome: durante questo rito il lama (cioè il sacerdote leader buddhista) indica il nome da destinare al neonato in base al giorno e all’ora della nascita (è di uso comune sentire chiamare un individuo con il nome corrispondente al giorno della settimana in cui è nato).
Questo Popolo ha da sempre adottato uno stile di vita pacifico, mite e prudente, la loro cultura attribuisce una considerazione elevata al rito dell’ospitalità: è impensabile che un ospite lasci la loro casa senza prima aver mangiato e bevuto sino al completo appagamento.
Presso gli Sherpa esiste una suddivisione in due caste: i Khadeu ed i Khamendeu. Quest’ultima è composta dagli schiavi liberati, i loro discendenti e gli immigrati giunti dal Tibet negli ultimi anni.
Questa divisione in due classi sociali non è così rigida come per gli Hindu: essi non vivono un’esistenza nettamente distaccata ma devono rispettare alcune regole, come ad esempio, se seduti allo stesso tavolo non possono bere dallo stesso bicchiere o, se si sposano, il matrimonio comporterà automaticamente la degradazione del coniuge Khadeu e dei figli che nasceranno.
Restando sempre nell’ambito dei matrimoni, tendono a cercare legami con altri clan, detti “Ru”, creando unioni al di fuori di quello di appartenenza. In genere praticano la monogamia e solo eccezionalmente la poligamia.
Gli Sherpa hanno sempre basato la loro economia sul lavoro agricolo a bassa quota, sull’allevamento del bestiame di altura e sul commercio di prodotti, come il sale e la lana, tra il Nepal ed il Tibet. A metà del ‘900, con l’apertura delle frontiere nepalesi verso il resto del mondo, essi trovarono nell’ambito del turismo una nuova forma di reddito. Pertanto si trasformarono in guide alpine (con il compito molto delicato di mettere in sicurezza i percorsi) ed in portatori di carichi notevoli, a volte superiori ai 70 Kg., al fine di consentire ai turisti alpinisti di raggiungere le vette in modo più agevole.
Inizialmente questo tipo di lavoro veniva considerato dalla stragrande maggioranza della popolazione blasfemo, dato che violava territori sacri, e la paga, di conseguenza, era miserabile. Ora si è trasformato in un business di notevoli dimensioni con lauti guadagni per i portatori, gli accompagnatori e le guide. Tale attività di trekking in montagna, per gli Sherpa, è agevolata da una caratteristica fisica specifica: posseggono polmoni voluminosi e quindi non incorrono nel rischio di iperventilazione, mentre il loro sangue è ricco di emoglobina che favorisce un maggior apporto di ossigeno al cervello.
Ma vi è, come in tutte le cose, il rovescio della medaglia: gli Sherpa negli ultimi anni stanno pagando il prezzo più alto in termini di incidenti e di vite umane. Grazie soprattutto ad un uso sempre più massiccio di steroidi e di bombole di ossigeno (che aiutano a scongiurare edemi cerebrali o polmonari), per i turisti il rischio di morire in alta quota si è ridotto drasticamente. Per gli Sherpa, che invece devono trasportare anche le bombole (oltre a tavolini, sedie, corde e scale di sicurezza, cibo ed attrezzature) è invece repentinamente aumentato. Il tasso di mortalità tra i portatori impiegati nelle scalate dell’Everest tra il 2004 ed il 2017 è 12 volte superiore a quello dei soldati che hanno partecipato alla guerra in Iraq tra il 2003 ed il 2007. Al mondo non esiste altra attività con un tasso di mortalità così elevato tra i suoi lavoratori.
A volte, nonostante la tradizione di recitare la Puja (la preghiera con offerte a Sagarmatha perché consenta loro di lasciarli passare incolumi) prima di iniziare la scalata, i portatori e le guide non fanno ritorno a casa.
In alcuni casi i portatori vengono impiegati anche per il recupero dei cadaveri delle vittime della montagna, oltre che nello smaltimento dell’enorme quantità di rifiuti disseminati lungo il sentiero che conduce alla vetta dell’Everest ma, come se non bastasse, altra ingrata impresa affidata agli Sherpa è l’eliminazione delle 12 tonnellate di escrementi umani prodotte in una sola stagione di scalate.

Fabrizio Loiacono Photographer