La società nepalese è di stampo rigidamente patriarcale: le donne risultano generalmente subordinate agli uomini in quasi tutti gli aspetti della loro vita. Questo stato è comunque abbastanza differenziato, potendo variare notevolmente tra i diversi gruppi etnici, ad esempio, nelle comunità tibetano nepalesi la condizione femminile si è sempre dimostrata migliore rispetto alle donne Newari o Pahari. Addirittura, le donne appartenenti ai gruppi di casta più bassa, hanno maggiore autonomia e libertà rispetto alle due ultime etnie citate.
La donna più anziana della famiglia ha sempre avuto un ruolo fondamentale all’interno del gruppo o del clan allargato, avendo il controllo delle risorse, prendendo decisioni cruciali riguardanti il tempo più propizio per la semina e per il raccolto, determinando le eventuali spese e investimenti.
La vita della donne è rimasta concentrata all’interno del loro tradizionale e atavico ruolo di cura della prole, svolgimento delle faccende domestiche, procurare acqua per la famiglia e foraggio per gli animali, lavorare in campagna.
La loro posizione è subordinata, nelle posizioni sociali ed economiche, prima a quella dei genitori, poi a quella dei mariti.
Esse hanno avuto da sempre un accesso limitato all’economia di mercato, ai servizi produttivi, al sistema di istruzione, all’assistenza sanitaria ed al governo locale.
La malnutrizione e spesso la vera e propria povertà hanno colpito maggiormente la componente femminile della società nepalese: sin dalla prima infanzia le figlie femmine ricevono meno cibo rispetto ai maschi, le donne generalmente lavorano più degli uomini e più a lungo durante la giornata lavorativa, il contributo economico fornito dal mondo femminile è sempre stato notevole ma, purtroppo, non preso nella giusta considerazione in quanto il loro ruolo tradizionale era dato per scontato. Quando vengono impiegate in lavori retribuiti esse vengono sottopagate con un salario inferiore anche del 25% rispetto ad un uomo. Nelle regioni rurali vengono impiegate nei lavori di semina, eliminazione delle erbe infestanti, raccolta, mentre nelle aree urbane sono utilizzate nei lavori domestici e tradizionali, come nel settore pubblico per lo più in posizioni di basso livello.
Il loro livello di istruzione è certamente inferiore rispetto a quello maschile: l’analfabetismo imposto dalle famiglie di provenienza e dalla stessa società risulta essere il più grande ostacolo al miglioramento della condizione femminile ed al raggiungimento di pari opportunità. Lo status inferiore di nascita, basato sul sesso, crea di fatto una grave carenza educativa, causando a sua volta una condizione d’inferiorità sia civile che sociopolitica.
La violenza che colpisce le donne in Nepal, vittime sia della violenza pubblica che di quella domestica (stupri, abusi sessuali sul posto del lavoro ed in casa, addirittura sono oggetto della tratta di esseri umani). Inoltre alcune pratiche tradizionali risultano ancora applicate, pur essendo dannose o pericolose per la vita delle giovani donne: ad esempio il sistema denominato “Deuki” (ovvero l’atto di offrire le ragazzine, che altrimenti avrebbero negata la minima cura ed istruzione) ai locali Templi Hindu, offerte dagli stessi genitori al fine di guadagnare meriti come devoti (di fatto si tratta di una forma di prostituzione camuffata dalla religione rituale); oppure la penosa tradizione del “Chhaupadi” che prevede l’obbligo per le donne, durante il ciclo mestruale, di essere letteralmente segregate in capanne poste lontano dal villaggio, senza possibilità di lavarsi, di toccare acqua o cibo e, di conseguenza, vietare loro di partecipare alle normali attività familiari e comunitarie perché considerate impure.
Troppi tabù e troppe superstizioni concernenti la figura femminile, oltre a convinzioni e tradizioni anacronistiche profondamente radicate nella società nepalese, sono al centro degli atteggiamenti che portano a questa discriminazione ed agli atteggiamenti negativi che ne derivano: questo detto riassume perfettamente questi concetti “Chhori ko janma hare ko karma” (Una figlia nasce con un destino già segnato).

Fabrizio Loiacono Photographer