I Peul (nome di origine francese) o Fulani (di derivazione anglofona) sono un’etnia nomade diffusa dalla Mauritania al Cameroun dedita alla pastorizia, all’allevamento, all’agricoltura ed al commercio.
Loro si definiscono con il nome di “Fulbe” (al singolare “Pullo”) che deriva da un termine utilizzato in lingua fulfude dal significato di “nuovo” o “libero”, vengono denominati anche il “Popolo senza confini”.
Si ipotizza che siano discendenti di una popolazione preistorica del Sahara migrata inizialmente verso il Senegal ed in seguito, intorno all’anno 1000 a. C., lungo le rive del fiume Niger alla ricerca di pascoli per le mandrie.
A loro si deve l’introduzione e la diffusione della religione islamica in Africa occidentale: la loro comunità è in gran parte composta da fedeli musulmani sunniti. Devoti e teocentrici conservano anche abitudini preislamiche come la circoncisione del prepuzio e l’ablazione del clitoride (la cicatrizzazione di tali ferite viene favorita con l’applicazione di polvere di sabbia fine). Per loro la più grande benedizione, oltre che possedere una mandria (soprattutto per coloro che praticano ancora il nomadismo), è quella di avere vari figli.
L’inarrestabile avanzata della desertificazione hanno ridotto di molto la disponibilità di pascoli a disposizione di questi pastori nomadi musulmani, obbligandoli a migrare sempre più a sud, provocando dispute sulla terra rispetto ad altre comunità composte da agricoltori stanziali cristiani: gli scontri sanguinosi che ne sono derivati hanno provocato migliaia di morti e continuano senza sosta espandendosi in tutta l’area dell’Africa occidentale.
Il timore che questo scontro possa trasformarsi in una vera e propria pulizia etnica condotta, oltre che per lo sfruttamento dei pascoli, anche per perseguire il tentativo di islamizzazione dell’intera area, non è poi così lontano dalla realtà.
Questo gruppo etnico presenta una varietà ed una miscellanea di usi, costumi e cultura fatti propri tramite le influenze intercorse con le popolazioni che abitano le medesime aree in cui essi sono stanziati. L’ampia diffusione geografica dei loro spostamenti ed i contatti diffusi con popolazioni tanto diverse hanno inevitabilmente influenzato i loro usi e costumi, provocando un considerevole livello di assorbimento culturale.
Un altro fattore determinante nella varietà di questa etnia è confermato dalle sue numerose ramificazioni: nella comunità vengono inclusi diversi gruppi quali, ad esempio, i Tukolor in Senegal, i Yimbe Pulaaku in Mali, i Wodaabe in Niger.
I Peul o Fulani hanno adattato le necessità agro pastorali della propria comunità a quelle delle loro estese mandrie di animali che vengono condotte, attraverso un’incessante ricerca di grandi aree verdi destinate a pascolo, in territori prosperi, come ad esempio nella savana presente tra il distretto di Abalak e la zona di Ingall, ricca di zone saline e di numerose pozze d’acqua. Per non mettere a rischio le già scarse riserve d’acqua, i giovani lasciano le donne, i bambini ed i vecchi nel villaggio e si spostano con le loro mandrie alla ricerca di nuove fonti idriche, in attesa dell’arrivo della prossima stagione delle piogge.
Alcuni Clan Peul o Fulani (da loro denominati “Leyyi”) sono legati tra di loro dal “Jongu”, una sorta di relazione che impone il reciproco rispetto e l’obbligo morale di aiutarsi a vicenda in caso di necessità.
La loro società è imperniata sulle regole della casta di appartenenza: tutti rimangono all’interno della casta che ereditano alla nascita. Esistono i nobili (a cui appartengono i proprietari di bestiame più influenti, i consiglieri e gli ausiliari, gli artigiani dei metalli fusi), i liberi ed i servi. Tali suddivisioni risultano comunque più attenuate e meno intransigenti rispetto a quelle adottate dal Popolo Tuareg, in quanto inserite in un più vasto sistema sociale basato sull’organizzazione del lavoro, sulla collocazione nello spazio da occupare nell’accampamento o nelle abitazioni del villaggio stanziale. La gerarchia sociale sembra trarre la sua valenza più genuina dagli elementi di parentela che si intrecciano e si collegano alle caste stesse.
La malattia viene spesso considerata il risultato di incantesimi prodotti da spiriti malefici o di malocchio operato da nemici: per questo l’utilizzo di amuleti (“Gris gris”) è largamente diffuso sin dalla più tenera età. Alcuni di questi portafortuna sono particolarmente pittoreschi ed originali come, ad esempio, un piccolo frammento di un vecchio pneumatico legato alla caviglia al fine di evitare il morso dei serpenti, oppure la pratica di spaccare in due la scapola dell’animale ucciso (una capra o un animale selvatico) onde evitare di fornire ad un potenziale nemico una “tavoletta” utilizzabile per effettuare sortilegi ai suoi danni.
Molti rimedi possiedono altresì un fondamento razionale: ogni nomade possiede una scorta abbondante di erbe, foglie, semi e radici denominata “Magani” che vengono impiegati sia per la cura dei familiari sia per la salute delle preziosissime vacche a loro tanto legate. Anche le donne posseggono una loro scorta personale di Magani che tengono in un lembo arrotolato della veste. Ogni atto terapeutico viene necessariamente accompagnato da formule specifiche di scongiuro tramandate da generazione in generazione. I guaritori di professione, “Bokaddo” in lingua locale, vengono consultati all’occorrenza soprattutto in relazione ad eventi in qualche modo legati a fenomeni di superstizione, lasciando ampio spazio, in tal caso, a rituali di tipo esorcistico. Nel caso della sterilità femminile, ad esempio, le varie formule magiche ripetute ad alta voce dal Bokaddo si accompagnano all’assunzione di un infuso da parte della donna preparato dallo stregone miscelando in proporzioni (solo allo stesso note) scorze di baobab, cenere ed un uovo di uccello. I gonfiori da trauma vengono trattati con decotti bollenti di acacia rabdiana e latte, mentre i reumatismi si curano con massaggi di sabbia calda. Per combattere le malattie da raffreddamento vengono utilizzati infusi di tamarindo, i disturbi intestinali vengono curati con una bevanda a base di sale e natron rosso, mentre per il trattamento della malaria ci si affida ad un infuso con scorza di acacia rabdiana bollita nel latte. Comunque, ad ogni trattamento terapeutico, deve necessariamente corrispondere una contemporanea enunciazione di formule tradizionali per il buon esito della cura specifica diretta a sanare una determinata patologia.

Fabrizio Loiacono Photographer