Il nome “Tamang” in lingua tibetana significa mercanti di cavalli, se ne desume che inizialmente siano entrati in contatto con le popolazioni locali per motivi commerciali (soprattutto con i Newari) e che, successivamente, si siano sedentarizzati nei territori dell’attuale Nepal orientale. Le loro radici sono incerte ma si presume siano di origini tibetano birmane e risulta evidente che risentono fortemente dell’influenza tibetana, come dimostrano i loro monasteri denominati “Ghyang” ed i muri che delimitano l’accesso ai villaggi (“Mani”). Si racconta che gli antenati dei Tamang fossero soldati di cavalleria di un esercito invasore tibetano, insediatisi in Nepal a seguito della conquista di un determinato territorio.
Nel XIX secolo subirono una pesante annessione da parte dei più potenti Bahun e Chhetri (sotto la Dinastia Rana) che sequestrano le loro terre, li relegarono ad uno status sociale infimo e li sfruttarono come manodopera coatta a cui affidavano i lavori più umili, come il portatore. Questa circostanza li indusse ad ampliare le loro conoscenze delle montagne dell’Himalaya ed oggi svolgono l’attività di portatori al pari degli Sherpa.
Sono per lo più ancorati ad uno stile di vita tradizionale: agricoltura di sussistenza, allevamento di mucche, pecore e yak. Una vita che a molti inizia a stare stretta, ora che il mondo occidentale bussa con insistenza in queste lontane terre himalayane attirando i giovani con falsi miti e ancor più falsi idoli. E molti tra di loro, prevalentemente uomini, si stanno convincendo a partire per cercare fortuna all’estero. India, Malesia ed i Paesi del Golfo sono le destinazioni più ambite.
Il turismo ha avuto sicuramente il merito di aver permesso uno stile di vita diverso alle popolazioni lontane dalle grandi città, portando assistenza sanitaria, elettricità, educazione di base, ma al contempo ha incrementato la pressione sull’ambiente. Alcune delle foreste più rigogliose sono state distrutte per ricavare legname da costruzione e legna da ardere per il riscaldamento invernale. Questa realtà, di fatto, cozza contra le antiche tradizioni e credenze Tamang che da sempre considerano sacra la Natura, ed inoltre la perdita irreparabile di intere foreste ha, come effetto boomerang, quello di rendere l’eventualità di catastrofi naturali sempre più reale, soprattutto nel periodo dei monsoni.
Tra i Tamang è molto diffuso il Buddhismo, spesso mescolato con elementi mistici dell’antica religione Bon.
Il sacerdote ha un ruolo centrale all’interno della comunità e celebra tutte le principali funzioni.
La leadership era condivisa tra il “choho” (giudice della comunità), il “tamba” ed il “gamba” che preservavano cultura e tradizioni, i “lama” ed i “bombo” che si prendevano cura degli aspetti religiosi e dei rituali: Queste figure svolgono ancora un ruolo importante in molte comunità.
Il rituale funerario della “ghewa” viene compiuto dai lama che, al suono di trombe e campanelli camminano intorno all’altare con le ceneri del defunto (il “mane”), pregando per l’anima che affronta il viaggio verso la reincarnazione. Indossano maschere che rappresentano sia forme divine che sembianze mostruose, metafore delle virtù e delle tentazioni dell’anima. Parenti e amici portano con sé cibo, frutta ed a volte anche denaro da offrire al “mane”, augurandosi che l’anima possa così reincarnarsi senza ostacoli.
Secondo le credenze popolari buddhiste, l’anima ascende temporaneamente al paradiso od all’inferno, prima di tornare sulla Terra sotto sembianze umane od animali, a seconda dei meriti acquisiti in vita.
I Bombo si sono trasmessi, di generazione in generazione, i segreti del loro potere sciamanico: viaggiano per i piccoli villaggi Tamang per scacciare il “gos”, lo spirito del male, considerato la causa di molte malattie. Si vestono con abiti tradizionali e con una tracolla di campanellini che, tintinnando, annunciano il loro arrivo. Cercano di fare tutto quello che è in loro potere per liberare le loro genti dalle malattie, ma non sempre riescono ad ottenere questo risultato.
Diversi clan proibiscono il matrimonio interetnico altri, invece, lo consentono ma solo con membri delle etnie Gurung, Magar, Newari e Chhetri: in ogni caso il matrimonio all’interno dello stesso clan è vietato.

Fabrizio Loiacono Photographer